
L’ineguagliabile e ineguagliato suono che le 4 corde di un violino Stradivari producono non sarebbe lo stesso se il suo creatore non fosse stato maniacalmente attento alle essenze legnose impiegate nella sua costruzione.
Stradivari prima che un musicista era uno straordinario “mastro liutaio”, la sua sconfinata esperienza lo portò a concludere che per fabbricare lo strumento perfetto doveva impiegare Acero dei Balcani e Abete rosso della Val di Fiemme.
Ancora oggi e a quasi 3 secoli dalla morte del grande liutaio, uno Stradivari nelle mani di un grande violinista, continua a far’ sognare le platee dei più importanti teatri del mondo.
Certo un grande violinista è pur sempre grande e regala pur sempre emozioni; ma se tre secoli addietro, un altro meraviglioso artista non avesse costruito un così magnifico strumento, lo stesso violinista oggi sarebbe davvero grande?
Chi si affaccia per la prima volta a questo blog, potrebbe trovare quantomeno inusuale l’argomento introduttivo di questo articolo. Questo dovrebbe essere un contenitore di testi che contemplano si un’arte, ma che non ha nulla a che fare con la musica.
Il comune denominatore dovrebbe essere (non me ne vogliano i miei amici vegetariani) il nobile mondo della carne e delle sconfinate possibilità di trasformazione della stessa in altrettanto nobili prodotti di salumeria. O forse proprio così non è e forse un legame esiste.
Potrebbe essere la consapevolezza?
Quel violinista anche senza un così prezioso strumento è consapevole del suo valore, delle sue straordinarie capacità, attenzione però, non dimentica mai che uno Stradivari lo rende immenso.
Lo ripeterò fino alla nausea, potrete tenerne conto oppure no: partiamo dal basso, partiamo dalla scelta dei legni.
Il Nero di Calabria, la Cinta Senese e altre razze suine con nomi modaioli, ormai ne troviamo a cubitale citazione sulle etichette di altrettanto modaioli produttori. La verità è che queste presunte razze pregiate non contano il numero di capi sufficienti alla produzione di una sola settimana di un singolo salumificio, figuriamoci di un intero territorio.
Attenzione, presunte razze pregiate; non perché originariamente non lo siano state, ma semplicemente perché in passato messe al bando in quanto poco remunerative e, dopo aver rischiato l’estinzione sono state ripescate e meticciate con altre razze come il Duroc americano.
Questa soluzione ha fatto tornare in vita i nomi ma non la qualità delle carni, sicuramente di profilo medio-alto con la quale si producono dei buoni salumi ma non certo altissima qualità.
Quella, la qualità superiore, la si produce con le carni di suini in purezza, con accrescimento non inferiore a 12 mesi (14 va ancora meglio)
Nomi impronunciabili come “Large White” oppure “Landrace” sono le razze suine più apprezzate, in particolar modo se in purezza, nella galassia dei produttori di salumi.
Magari il rapporto magro-grasso può far storcere il naso a qualcuno, ma è anche la qualità del grasso che fa la differenza; è un lipide che si ossida poco ed è naturalmente stabile, le carni, specie se da allevamenti semi bradi, hanno una naturale ritenzione idrica quindi meno attaccabili da agenti esterni poco graditi.
Questo consente di ottenere salumi morbidi, non secchi; dal gusto avvolgente e privi di aromi secondari dovuti all’irrancidimento delle fasce lipidiche; oltretutto consente di lesinare notevolmente sull’impiego di soluzioni che ne garantiscano la conservazione, orientando le produzioni su quel più alto e ambito gradino.
Ora, possiamo far finta di niente e continuare a distorcere l’informazione, oppure.
Oppure possiamo scegliere il nostro legno pregiato, aggiungere la nostra pregiata esperienza e produrre il più pregiato tra i salumi.